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Archivi categoria: Scuola e Famiglia

Far crescere i nostri figli

 

Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana. Mise un cesto di frutta vicino ad un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto tutta la frutta.
Quando gli fu dato il segnale per partire, tutti i bambini si presero per mano e si misero a correre insieme, dopodiché, una volta preso il cesto, si sedettero e si godettero insieme il premio.
Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, visto che uno solo avrebbe potuto prendersi tutta la frutta, risposero “UBUNTU: come potrebbe uno essere felice se tutti gli altri sono tristi?”

UBUNTU nella cultura africana sub-sahariana vuol dire: “Io sono perché noi siamo”

LETTERA DI ABRAHAM LINCOLN ALL’INSEGNATE DI SUO FIGLIO

“Caro professore, lei dovrà insegnare al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la verità; ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c’è un eroe, per ogni egoista c’è un leader generoso. Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico e che vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata. Gli insegni a perdere, ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall’invidia e gli faccia riconoscere l’allegria profonda di un sorriso silenzioso. Lo lasci meravigliare del contenuto dei suoi libri, ma anche distrarsi con gli uccelli nel cielo, i fiori nei campi, le colline e le valli. Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria, gli insegni a credere in se stesso, anche se si ritrova solo contro tutti. Gli insegni ad essere gentile con i gentili e duro con i duri e a non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri. Gli insegni ad ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo. Gli insegni a ridere quando è triste e gli spieghi che qualche volta anche i veri uomini piangono. Gli insegni a ignorare le folle che chiedono sangue e a combattere anche da solo contro tutti, quando è convinto di aver ragione. Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempera l’acciaio. Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso. Gli trasmetta una fede sublime nel Creatore ed anche in se stesso, perché solo così può avere fiducia negli uomini. So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro”.

Abraham Lincoln

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You’re a technologist, but a lot of your work now with the foundation has a moral dimension. Has your thinking about the value of religion changed over the years? 

The moral systems of religion, I think, are superimportant. We’ve raised our kids in a religious way; they’ve gone to the Catholic church that Melinda goes to and I participate in. I’ve been very lucky, and therefore I owe it to try and reduce the inequity in the world. And that’s kind of a religious belief. I mean, it’s at least a moral belief.

This story is from the March 27th, 2014 issue of Rolling Stone.


 
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Pubblicato da su 10 aprile 2014 in Religione, Scuola e Famiglia

 

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Ridere è proprio una cosa seria

colomba su carrarmato

Victor Hugo scrisse: “Quando rido ho 25 anni; quando sono triste ne ho 60.” Il professor Chapiro, illustre studioso di Ginevra sostiene che il ridere è indispensabile alla salute. Il riso, per essere sano, deve essere spontaneo e gioviale, non confondersi coi sorrisetti dell’invidia o del sarcasmo, che non solo non sono salutari, ma danneggiano.

Il riso può essere frutto di gioia autentica, di bontà e simpatia, o anche un’arma sottile, o una triste maschera, un riso amaro, per illudersi e stordirsi. Ma ai giorni nostri, purtroppo, si ride molto meno che in passato, come ha evidenziato una recente ricerca, mentre sono aumentati i fattori di stress e le forme depressive.

Il noto dottore-clown Patch Adams ha fatto dell’umorismo e della comicità una missione di amore, per uscire da una profonda crisi depressiva che lo aveva portato sull’orlo del suicidio. Egli ha detto: “Ho sofferto molto, ho anche cercato di ammazzarmi, poi ho deciso di mettermi a servizio degli altri.” Tali idee sono anche alla base del lavoro di Paul Mc Ghee, che, con la sua equipe di collaboratori, è uno dei più rappresentativi e convinti studiosi, cultori e promotori della “Geloterapia” (dal greco Ghelos = risata). Il riso, peraltro, era già considerato un correttivo dei comportamenti e dei costumi morali (mores, in latino) dal classico motto: “Castigat ridendo mores”, cioè… “Ridendo castigo i mori”, come spiega Totò in un film malmenando un moro e sghignazzando…

La teoria cognitivista di Koestler, considera l’umorismo un “atto creativo, in quanto collega fra loro le idee in modo originale.” Con paradossi e incongruità, o piuttosto coerenza e discrepanza insieme,  che Koestler chiama “bisociazione.” Ad es. : Un carcerato giocava a carte con i suoi carcerieri; quando si accorsero che barava lo cacciarono a calci dalla prigione. Maurizio Della Casa, studioso di linguistica, afferma:” Il comico apre la strada alla creazione dei sensi, alla libertà del discorso: il linguaggio si propone in esso come ricerca e  potenzialità infinite”.

Nelle nos3 scuole si ride troppo poco” diceva Gianni Rodari. Dovrebbe esserci più gioia e  meno noia. E Ferdinando  Montuschi osserva: ”Imparare a ridere in modo sano e liberante è forse uno degli obiettivi educativi più validi che la pedagogia possa garantire alle giovani generazioni, e non solo a loro.” Domenico Volpi, ispirandosi a Don Bosco, individua i seguenti valori dell’umorismo: fonte di gioia e allegria, agilità mentale, creatività e senso critico, eliminazione o riduzione dell’aggressività, sdrammatizzazione, serenità e distensione, capacità di adattamento, in senso dinamico e costruttivo, da non confondere con l’adattamento passivo ed il piatto conformismo. Alessandro Pronzato, autorevole sacerdote, nel libro “La nostra bocca si aprì al sorriso”, scrive che “Il mondo sarebbe “una cosa più seria” se ci si fosse preoccupati di costruire una teologia del sorriso”. Anche Roberto Beretta ed Elisabetta Broli hanno trattato in chiave umoristica importanti argomenti religiosi e morali in alcuni libri. Un articolo  pubblicato su “Civiltà Cattolica“ del 1/1/94, ”Il sorriso è dono e conquista”, riporta il seguente aneddoto. “Il sorridere umoristico ha caratterizzato, ad esempio, Giovanni XIII. Si narra che, dopo alcune settimane dalla sua elezione a Sommo Pontefice, non riuscisse a prendere sonno per l’assillo dei gravi problemi della Chiesa.  -Voltavo la testa ora qua ora là sul cuscino- racconta lui stesso -ma il sonno non veniva. Allora mi sembrò che lo Spirito Santo mi dicesse: -Ohé, Angelo, tu cominci a prenderti troppo sul serio! E di colpo mi addormentai.

Carlo Majello commentando l’articolo citato, scrive: “I Gesuiti di Civiltà Cattolica consigliano, soprattutto ai cristiani, di imparare a sorridere.  Secondo i Gesuiti l’umorismo e il sorriso sono vera grazia, oltre che segno di intelligenza e di umiltà, fonte di libertà, di pace e di verità: ma deve essere un sorriso autentico, un sorriso che è un dono del cielo”. L’articolo citato si conclude con le seguenti riflessioni: “Sa sorridere l’uomo del nostro tempo?  Apparentemente sì. Gli scherzi televisivi, i salotti ed il cinema offrono lo spettacolo di gente che ride e sorride, spesso con arte raffinata.  Spesso però si tratta di un sorriso maschera: di un sorriso cioè che non è più espressione di gioia profonda, ma maschera per nascondere la realtà e palliativo per illudersi e stordirsi.

Il sorriso non lo si eredita, tanto meno lo si compra o lo si prende a prestito. E’ un’arte da conquistare con pazienza, con l’equilibrio interiore, con la ricerca dei valori della vita. E con molto amore. C’è chi ha parlato del “Sacramento del sorriso” perché in ogni sorriso c’è qualcosa della trasparenza di Dio. E’ di questo sorriso che abbiamo tutti bisogno.”

La varietà delle teorie, qui appena accennate, e tutte peraltro limitate e riduttive, rispecchia la grande complessità del fenomeno umoristico. Come osserva Avner Ziv: “Tra tutti i comportamenti umani, l’umorismo è forse il più ricco…Ciò che avvertiamo è una gioia pura, un vero piacere. L’umorismo, oltre a queste manifestazioni fisiologiche, contiene in sé tutta la ricchezza della psicologia umana. Comprende aspetti intellettuali, emotivi, sociali e fisiologici.” Avner Ziv mostra come, l’umorismo, se ben utilizzato, possa avere un ruolo importante anche nella scuola: ma vanno evitati l’ironia e il sarcasmo, che offendono e feriscono, ed ovviamente la buffoneria ridicola.

 

 
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Pubblicato da su 17 marzo 2013 in Attualità, Scuola e Famiglia

 

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La fatica e la bellezza dell’educazione

Anniek Cojean dice che un preside di liceo americano aveva l’abitudine di scrivere, ad ogni inizio di anno scolastico, una lettera ai suoi insegnanti: Caro professore, sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleno da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiore e università. Diffido –quindi – dall’educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.

La fatica e la bellezza dell’educazione.   Nella società dei media può nascere un’illusione: che i mezzi di comunicazione siano i più importanti per educare un popolo. Certamente, questo è in parte vero: la rivoluzione francese, come tutte le altre, sino alla rivoluzione sessuale, sono state favorite da un mare di carte e giornali, prima, e dalla televisione, poi. Spesso si vorrebbero chiudere le scuole cattoliche, è contro di esse che si accaniscono anzitutto gli illuministi anticristiani, perché sanno che un ragazzo ben educato può anche essere temporaneamente traviato dalle illusioni politiche, ideologiche, mondane, ma possiede dentro di sé un seme che prima o poi darà i suoi frutti. Oggi occorrerebbe che almeno i cattolici si rendessero conto di questo: che vi è un’emergenza educativa, cui far fronte, in parrocchia, nelle scuole, in ogni ambito possibile. Eppure i cuori e le menti dei giovani sono ancora, come sempre, aperti alla Verità e al Bene: basta solo che incontrino persone credibili, pronte a rendere conto della Speranza che è in loro e a smascherare gli errori e gli inganni del mondo. Oggi, dicevo, l’educazione è in crisi, per il semplice fatto che non si sa più cosa sia. Educare, per la mia esperienza, significa condurre da qualcosa, verso qualcos’altro. Condurre da una storia, da un passato, da una Tradizione, verso un futuro: e invece tutta la cultura dominante è basata sulla volgarizzazione del passato e sulla derisione della Tradizione. Si crede e si vuol far credere che non vi sia nulla di buono nella storia che ci precede, soprattutto in quella cristiana. Così l’origine della nostra cultura, quel Medioevo in cui sono nate le università, gli ospedali, la tecnica, e le cattedrali, Giotto e Cimabue, viene liquidata con espressioni superbe e volgari: “secoli bui”, “tenebre del Medioevo”. Non è solo una questione di falsificazioni storiche: in queste espressioni lapidarie è condensata la cultura anticristana e nichilista che desidera tagliare le nostre radici, isolarci dalla Tradizione, fare intorno ad ognuno di noi terra bruciata. Solo così si può far vivere un popolo nel mito sciocco e banale del Progresso, come se non avessimo nulla da imparare da chi ci ha preceduto, e fossimo per ciò completamente auto-sufficienti. Così, in verità, si coltiva solo l’individualismo. Lo sciocco pregiudizio verso il passato ci rende arroganti e presuntuosi: il contrario di ciò che una buona educazione dovrebbe fare. Questo tentativo, come dicevo, di tagliare le radici, è evidente nella scuola odierna: dal modo con cui viene liquidato il medioevo, in storia, alla volontà sempre maggiore di trascurare anche il nostro passato latino e greco, sino alla graduale eliminazione, persino dalle università di filosofia, degli autori cristiani, da Agostino a Tommaso. Sempre più diventa dunque difficile sapere da dove veniamo. Ma ancor più, dove andiamo. Infatti, perché vi sia educazione, occorre avere una certa idea dell’uomo: occorre che l’insegnante faccia comprendere ai suoi ragazzi che la Verità e il Bene esistono! Che lo studio serve appunto per ricercarli: ricercare la verità storica, la verità matematica, la verità filosofica, e teologica. Andiamo verso ciò che la nostra mente e il nostro cuore desiderano, nonostante il nostro limite: la Verità. Invece il relativismo dominante uccide ogni germoglio di vita: se non c’è nulla di vero, di bello, di buono; se un comportamento vale l’altro; se tutte le filosofie si equivalgono; se la verità e la menzogna si confondono, allora anche la curiosità di sapere, di capire, di pervenire alla verità, viene soffocata sin dal principio nel giovane, che diventa precocemente cinico e indifferente. Faccio un esempio per quanto riguarda una delle materie che ritengo più formative: la storia. Quando si analizza la storia del Novecento, i testi scolastici omettono di farci capire anzitutto da dove gli abomini del nazismo e del comunismo derivino, per evitare di sottolineare la radice atea delle guerre mondiali, dei lager e dei gulag; dall’altra omettono clamorosamente di indagare cosa ancor oggi rimanga di quelle ideologie (divorzio, aborto, eutanasia, ecc.), per rispettare il dogma progressista (se ciò è successo, è successo nel passato, ma oggi…); infine, trascurano di raccontarci tutte quelle storie eroiche di persone che hanno dato la vita per aiutare i loro simili, per lottare contro la menzogna, per mantenere viva la carità cristiana, insegnandoci così che la lotta per la Verità è sempre possibile. In questo modo i giovani studiano, senza comprendere nulla, e senza che la storia passata dica loro più alcunché, né sulla miseria degli uomini, né sulla loro intramontabile passione per il Bene. L’educazione insomma è centrale, e va perseguita con immensa attenzione. In ogni tempo i genitori hanno educato i loro figli, a determinati valori e ad una loro Tradizione. Si sa ad esempio che l’Iliade e l’Odissea venivano imparate a memoria dai ragazzi greci e costituivano una sorta di “enciclopedia tribale”: tramite quelle storie, si tramandavano valori, culti, ideale del bene, incarnato dall’eroe, e del male…Così ogni giovane greco si sentiva parte di una storia che condivideva con i suoi concittadini, e da quella storia traeva insegnamenti con cui confrontarsi. Se poi leggiamo la storia dei filosofi antichi, vediamo che solitamente cercavano di educare se stessi e i giovani al seguito: Socrate educava i suoi discepoli cercando di farli ragionare sulle verità più importanti. Lo stoico romano Seneca educava se stesso facendo l’esame di coscienza ogni sera. Dovunque vi erano uomini che cercavano maestri di vita e un senso che fondasse la loro esistenza: “Si tratta di sapere, scriveva Cicerone nel ‘De Natura deorum’, se esiste un Dio, se questo Dio si interessa agli uomini e se esiste un legame tra noi e lui. Si tratta di sapere cosa è l’anima umana, se essa ha rapporto con Dio, se viene da lui e ritorna a lui. In breve si tratta della nostra felicità, del nostro tutto”! Il grande educatore della storia è stato senza dubbio Gesù Cristo. Scelti i suoi discepoli, solamente dodici, che avrebbero trasformato il mondo, li ha condotti passo passo, sgridandoli, talvolta, confortandoli, spesso, e vivendo con loro. Dal suo esempio, innegabilmente, si è generata la tradizione scolastica europea, unica e irripetibile, quella che ci ha dato la Schola Palatina di frate Alcuino e Carlo Magno, prima, e le università poi. Ma il periodo d’oro dell’educazione è stato forse quello del Concilio di Trento. Messo all’angolo dal protestantesimo e dal suo pessimismo antropologico, secondo cui l’uomo è capace solo di male, e dal predestinazionismo calvinista, il mondo cattolico ha generato scuole su scuole, un ordine educativo dietro l’altro, dimostrando chiaramente che l’uomo non è solamente cattivo, ma anzi, che la sua natura, pur macchiata dal peccato originale, è capace di grandi opere di bene. Tutte le scuole di quest’epoca, da quelle del Calasanzio a quelle di Giovan Battista de la Salle, a quelle dei gesuiti, fondavano il proprio metodo educativo proprio sul realismo cristiano. Per i protestanti, come dicevo, l’uomo è naturalmente cattivo: facile capire che educare, partendo da questa idea di fondo, è piuttosto difficile, un’impresa disperata e poco affascinante. Per i cattolici, invece, l’innegabile tendenza al male, giustificata dal peccato originale, non elimina l’altrettanto evidente volontà di ogni uomo di cercare la Verità e la Giustizia. Educare significa allora coltivare il desiderio di vero, che c’è in ognuno, cercando di rendere questa verità non solo evidente, ma anche amabile. Questo sarà compreso soprattutto dal più grande educatore dell’Ottocento, Giovanni Bosco. Il suo metodo preventivo si basa infatti su un grande realismo antropologico: ha dinnanzi a sé giovani sbandati, senza famiglia, spesso delinquenti. Potrebbe lasciarsi andare allo sconforto, o alla durezza, invece vede in ognuno di loro un’anima preziosa e potenzialmente capace di grandi cose. Decide di trattarli con la mansuetudine, in modo da metterli, preventivamente, “nell’impossibilità di commettere mancanze”. Per don Bosco i luoghi dell’educazione sono la cappella, il cortile e la scuola: quest’ultima, appositamente, all’ultimo posto. Occorre anzitutto che i giovani siano amati: “questo avviene nella fusione fraterna del cortile, dove i giovani, sentendosi amati in quelle cose che loro piacciono, cioè nei divertimenti, imparano a vedere l’amore degli educatori in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco, quali la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi, e queste cose imparano a fare con amore”. All’opposto di don Bosco, oggi così dimenticato anche nelle scuole cattoliche, piene di sociologismi e di psicologismi lontani dalla fede, vi è l’idea illuminista che potremmo definire dell’ “ottimismo antropologico”, propagata da Rousseau, pedagogo tanto abile da aver abbandonato tutti e cinque i suoi figli, e dai sui seguaci. Per costoro l’uomo è naturalmente buono, senza peccato originale. Talmente buono da non aver bisogno non solo delle regole, della lotta interiore, e, talvolta, dei castighi, ma neppure dell’amore, delle attenzioni, della premura dell’educatore. I seguaci di Rousseau, propongono il primato della spontaneità più estrema, l’idea che l’uomo sia solo un animale, che quindi non sia chiamato a far crescere e maturare, passo passo, la propria umanità. Quanto è più affascinante la visione educativa cristiana, così descritta da Benedetto XVI nella sua lettera sull’educazione alla diocesi di Roma del 2008: “Già in un piccolo bambino c’è un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita. Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano…L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione”.

(Il Timone)

Non abbiate paura della vostra giovinezza e di quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di durevole amore!   Non abbiate paura e non stancatevi mai di ricercare le risposte vere alle domande che vi stanno di fronte. Cristo, la verità, vi farà liberi!   Non abbiate paura di proclamare, in ogni circostanza il Vangelo della Croce. Non abbiate paura di andare controcorrente!

Non abbiate paura di aspirare alla santità! Del secolo che volge al suo termine e del nuovo millennio fate un’era di uomini santi! Non abbiate paura perché Gesù è con voi! Non abbiate paura di perdervi: più donerete e più ritroverete voi stessi!   Non abbiate paura di Cristo! Fidatevi di lui fino in fondo! Egli solo “ha parole di vita eterna”. Cristo non delude mai!   Non abbiate paura di dire “sì” a Gesù e di seguirlo come suoi discepoli. Allora i vostri cuori si riempiranno di gioia e voi diventerete una Beatitudine per il mondo. Ve lo auguro con tutto il mio cuore. Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo! Sì, spalancate le porte a lui! Non abbiate paura!   (Giovanni Paolo II)

 
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Pubblicato da su 13 gennaio 2013 in Scuola e Famiglia

 

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